altrocheamazon, La parola al libraio

Davide Ferraris racconta la libreria Therese e il progetto COLTI

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foto di Attilio Pregnolato

Davide Ferraris è un libraio torinese attivo da anni sul territorio anche come promotore attivo della lettura. Con Sara Lanfranco gestisce la libreria Therese, in Corso Belgio 49, uno spazio sempre in continuo dialogo con il quartiere e con altre realtà culturali del territorio torinese. Lo abbiamo intervistato in occasione dei dieci anni di attività della libreria Therese per chiedergli come si è evoluto il mestiere di libraio in questi ultimi anni e per farci raccontare qualcosa in merito a questa nuova esperienza del Consorzio Librerie Torinesi Indipendenti (COLTI), presentato pochi giorni prima del Salone del Libro, di cui la stessa libreria Therese fa parte.

Ciao Davide, inizierei chiedendoti di parlarci di COLTI. Questa iniziativa è stata presentata al Circolo dei lettori di Torino pochi giorni prima del Salone del Libro, dove si è dimostrata un vero successo. Puoi spiegarci brevemente come è nato il consorzio e quali sono gli obiettivi che si propone?

Il consorzio è nato una decina di giorni prima del Salone del Libro, ma in realtà è il frutto di un percorso lungo cominciato a prescindere dal Salone e diventato più concreto a partire da settembre 2016. A settembre 2016 Portici di Carta, che è quella manifestazione che mette in fila sotto i portici del centro città le librerie di Torino e provincia, arrivava alla decima edizione e rischiava di non esserci per motivi tutt’altro che sciocchi: Portici di Carta è un marchio che per nascere e avere una serie di finanziamenti, pur essendo il frutto di un’idea nata da una  gruppo di librerie, necessita di un soggetto unico che si occupi da far da tramite tra i librai e il comune, per esempio per far calendarizzare l’evento e gestire gli spazi cittadini in cui si svolge. In passato la manifestazione si svolgeva sotto il patrocinio della Fondazione per il Libro, ma con quello che è successo dopo il Salone del Libro 2016, questo soggetto si trovava in grande difficoltà. Dal momento in cui quell’ente non era più disponibile a fare nulla, e in comune c’erano persone che sostanzialmente non conoscevamo perché era cambiata la giunta, abbiamo avuto paura che questa manifestazione non ci fosse. In quell’occasione abbiamo anche preso coscienza in maniera inequivocabile di quanto fossimo deboli, di quanto soprattutto non fossimo un soggetto, per cui a nessun titolo noi potessimo interfacciarci né con l’istituzione pubblica, né con la Fondazione, se non come singole librerie. Per cui questa situazione ci ha portato a cominciare a riflettere sull’ipotesi di creare una sigla che fosse in grado di rappresentare le librerie del territorio torinese. Inizialmente abbiamo pensato alla forma più semplice che è quella associativa, come esiste a Milano (la LIM, Librerie Indipendenti Milano). Poi è arrivata questa proposta del Salone, ed è quello che di fatto ha cambiato tutto e ha dato un’accelerata a discorsi che forse non si sarebbero mai davvero concretizzati, e che ci ha fatto scegliere non più la strada associativa, ma quella consortile. Si tratta di una strada molto diversa da quella associativa proprio nella sua essenza: da una parte l’associazione è una serie di persone che aderiscono più o meno entusiasticamente, più o meno con impegno, a un’idea, ma possono anche decidere di non fare niente all’interno dell’associazione, possono anche solo prendere la tessera; mentre invece un consorzio è un insieme di aziende ed è anch’esso di fatto un’azienda, per cui è una scelta d’impegno decisamente diversa. Che cosa serve fare consorzio? Rispetto al Salone è servito a gestire quella “piazza”. Al di là del Salone vuole diventare un soggetto intorno al quale la maggior parte delle librerie torinesi s’incontrano. Questo vuol dire rappresentarci nei confronti delle istituzioni, dei nostri fornitori, nei confronti della città. Per cui gli aspetti di cui si occuperà COLTI sono molti e variegati. Il primo traguardo è stato il Salone del Libro e abbiamo dovuto lavorare in vista di quello. Ora il Salone è passato, le cose sono andate bene, ed è il momento di mettere alcuni progetti all’interno di questo grande contenitore. Il consorzio vorrebbe rappresentare comunicativamente tutte le librerie del territorio, ma allo stesso tempo portarne avanti anche le istanze.

COLTI ha in programma delle collaborazioni anche con le biblioteche e le scuole sul territorio?

Con le biblioteche abbiamo già cominciato a lavorare durante il Salone sia nella gestione dello spazio dello stand che professionalmente: con i bibliotecari si è instaurato uno scambio di competenze e professionalità, per esempio nella compilazione dei percorsi di lettura, che è stato sicuramente fruttuoso per entrambe le parti. Per cui sicuramente il consorzio ha in programma di continuare a collaborare con le biblioteche e inizieremo anche a collaborare con le scuole.

Quando noi librai torinesi abbiamo ragionato sul consorzio, lo abbiamo fatto a partire dai nostri millecinquecento eventi all’anno, che consistono solo nell’ospitare uno scrittore in libreria, ma anche in iniziative più strutturate che tutti noi organizziamo già, anche nelle scuole. Per cui in realtà COLTI è già parte della vita del territorio. Non lo è ancora come soggetto, per ora lo è nella nostra singolarità. Certo che, una volta che riusciremo a mettere insieme le nostre esperienze e comunicarle come una cosa sola, l’efficacia sarà decisamente maggiore.

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fonte: la Repubblica

Invece, per quanto riguarda la libreria Therese: a giugno 2017 compie dieci anni di attività. Ci puoi raccontare come si è evoluto il vostro lavoro in questi dieci anni?

È cambiato tanto: dieci anni fa io non avevo neanche il profilo Facebook, non si parlava di lettura digitale e il commercio online iniziava a prendere piede, ma non aveva il volume che ha adesso; tutto sta cambiando in maniera molto veloce. Secondo me, però, proprio in virtù di questi cambiamenti, il ruolo del libraio è tornato a essere accettato come un ruolo sociale: credo sia diventato evidente un po’ a tutti noi librai che ci dobbiamo riappropriare della nostra possibilità di essere punto di riferimento culturale sul territorio, perché se ci fermiamo soltanto all’aspetto commerciale delle nostre librerie andiamo poco lontano. Come sempre succede i periodi di crisi riescono a far mettere in moto le rotelle, e questo accade anche per una categoria come quella del libraio, che soprattutto nell’immaginario rispecchia il luogo comune di uno che legge tutto il giorno, chiuso in un luogo un po’ polveroso. Se io penso alle librerie torinesi di oggi più frizzanti – Therese è fra quelle, ma non è l’unica – io non ci vedo neppure lontanamente quell’immagine. Anzi, vedo un’immagine di libreria molto dinamica, una realtà che va a cercare di costruire anche le sue partnership economiche in maniera diversa, che va a cercare il suo fatturato anche al di fuori delle pareti della libreria. Sto facendo questo discorso prettamente economico perché ogni tanto ci si dimentica che la libreria per vivere deve essere un’azienda sana prima di tutto, perché se non lo è può produrre quello che vuole e nessuno se ne accorge. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo cominciato fin da subito a lavorare a partire dalle scuole, fino ad arrivare a lavorare con tutti gli attori che fanno parte del mondo del libro (per cui ad esempio con gli editori, con il Circolo del Lettori, insomma un po’ a trecentosessanta gradi) cercando di diventare anche dei produttori di contenuti. Quest’ultimo aspetto ci sta particolarmente a cuore perché in fondo ci sentiamo dei veicolatori: noi parliamo di libri tutti i giorni, sperimentiamo il linguaggio con cui si parla di libri, quindi crediamo di avere qualcosa da dire in questo senso.

In questo senso, anche in virtù della tua esperienza anche come storyteller, sono nate le Indie Nights, ce ne puoi parlare?

Per anni ho fatto uno spettacolo teatrale che si chiamava Il libraio suona sempre due volte che è diventato poi anche un libro con lo stesso titolo (edito da Marcos y Marcos, n.d.r.). Stiamo parlando di cinque o sei anni fa. Poi ho cominciato a fare delle cose più lunghe, più strutturate, finché un giorno è entrata in libreria Francesca Marson e ci ha proposto di fare un laboratorio di lettura. Io e Sara non eravamo molto convinti e le abbiamo controproposto un progetto che avevamo in mente da tempo e che poi sono diventate le Indie Nights. Lei ha accettato la nostra controproposta e si è messa al servizio di questa idea. Le Indie Nights, tra l’altro, sono nate prima come evento in libreria per poi approdare in un secondo momento al Circolo dei Lettori grazie al loro successo: la cosa straordinaria è che sono state fin da subito una cosa talmente grande che le persone non riuscivano più a starci nei locali della libreria!

Ritieni che eventi come le Indie Nights e l’iniziativa di COLTI possano essere degli strumenti utili per garantire una buona competitività sul mercato da parte delle librerie indipendenti in alternativa a una concorrenza giocata solo sugli sconti come il mercato sembra imporre da qualche anno a questa parte (mi riferisco in particolare agli sconti applicati nelle librerie di catena, nella GDO e nelle realtà specializzate nella vendita online)?

Farei una distinzione: le Indie Nights sono un progetto culturale a sé stante. Sono un modo di raccontare e di fare divulgazione: nel momento in cui si raccontano le vite di personaggi indie diventano le Indie Nights, ma può essere declinato (e lo abbiamo declinato) anche in modi diversi. Invece COLTI sì, deve essere questa cosa qua. Noi abbiamo molte difficoltà a far passare il messaggio di quanto fondamentale sia per un quartiere la presenza di un agitatore culturale come una libreria. Sicuramente tra le cose che ci mettono in crisi ci sono questi rapporti complessi che l’editoria ha con il mondo del digitale e della grande distribuzione. Ora, se la domanda è: ma COLTI può fare qualcosa ad esempio per una legge sul libro? La risposta è no, non è nemmeno la sua missione: per questo ci sono i sindacati, ci sono le associazioni di categoria e saranno loro a sedersi al tavolo delle trattative.

La mia domanda si riallaccia più che altro a quel discorso che è emerso al Salone del Libro, durante l’incontro a cura dell’Associazione Italiana Librai, in cui ti sei confrontato con alcuni colleghi statunitensi e avete discusso del rapporto di concorrenza tra le librerie indipendenti e i grandi siti di vendita online, come ad esempio Amazon (ma anche altre realtà che vendono solo online), che sono sempre di più i concorrenti con cui confrontarsi e che stanno cambiando radicalmente il mercato del libro.

Su questo aspetto sì, sono convintissimo, e non voglio dire che unirsi in un consorzio sia un modo di fare cartello. Con la fondazione di COLTI è come se avessimo deciso di dotarci di uno strumento che racconti alle persone le nostre identità, le nostre specificità rispetto ad Amazon, per dirne uno (che poi Amazon si porta dietro anche delle altre questioni legate ai diritti dei lavoratori e altri problemi di natura fiscale che forse sarebbe il caso che il nostro Stato affrontasse per il proprio benessere, indipendentemente dal benessere delle librerie). Quello che può fare un consorzio come COLTI è di dire: attenzione noi siamo una voce, noi siamo un insieme di luoghi che movimentano la cultura, siamo spazi di dibattito e di confronto. Per quanto tu possa costruire un forum virtuale allargato alla possibilità dei commenti degli altri, tu non potrai mai raggiungere gli stessi livelli di confronto che si possono verificare in un incontro in libreria perché manca quell’elemento umano che alla fine, secondo me, rimane fondamentale. Lo dico anche per i nostri quartieri, ad esempio, per le nostre vite: noi ogni tanto non ci rendiamo conto di quanto impoverendo i negozi sotto casa in realtà impoveriamo noi stessi da tanti punti di vista. La nostra casa, che tanto faticosamente abbiamo comprato in quella zona tanto carina con i negozietti, una volta che i negozietti chiudono, varrà di meno: avremo perso economicamente, ci avranno tolto dei soldi dalle tasche. Noi non siamo tanto abituati a fare dei ragionamenti di questo tipo ed è molto difficile farlo capire alle persone che alle volte cercano più la convenienza immediata, ma che non si rendono conto poi di quanto certi atteggiamenti rischiano alla lunga di avere delle ricadute che impoveriscono tutta la comunità.

9788893441636_0_0_0_80.pngBene, ti ringrazio per la disponibilità e l’ultima domanda la rivolgo al Davide lettore prima che al Davide Ferraris libraio: cosa stai leggendo in questo periodo?

Sto leggendo il nuovo libro di Jonathan Lethem, Anatomia di un giocatore d’azzardo. Io ho una passione per Lethem da quando circa quindici anni fa lessi La fortezza della solitudine e poi Brooklin senza madre. Per me è uno scrittore geniale e non vedevo l’ora che uscisse qualcosa di nuovo. Quest’ultimo libro l’ha pubblicato La nave di Teseo ed è un libro folle: è la storia di un giocatore di backgammon che vive come uno 007, girando il mondo e facendo il giocatore d’azzardo, con la sua valigetta con questo gioco antichissimo e molto affascinante. A un certo punto, durante una partita, comincia a rendersi conto che c’è una macchia di fronte ai suoi occhi che gli impedisce di mettere a fuoco le cose. Capisce che la macchina non esiste davvero, è nella sua testa, nel suo cervello ha cominciato a svilupparsi qualcosa. Tra l’altro lui racconta questa storia che è matta, come sono tutte le storie di Lethem, ma con un senso dell’approfondimento e della complessità che sono incredibili. Tu leggi questo libro e ti appassioni di backgammon, di neurochirurgia e di lettura del pensiero. È uno di quegli autori che riesce a fare bene questo, un po’ come McEwan, che è un erudito e nei suoi libri ti dà sempre la sensazione di un sapere straordinario, ma anche con una grandissima leggerezza. Adoro Lethem e sto leggendo questo libro con grande passione.

Intervista a cura di Andrea Siviero

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