Raccontaci la tua storia, quand’è che sei diventato libraio?
Nel ’97, l’anno in cui apre Modusvivendi, facevo il giornalista; mi ero stancato di farlo, stavo per laurearmi in lettere moderne e avevo deciso di lavorare nel mondo dei libri, ma non sapevo ancora da quale lato della barricata lo avrei fatto. In quegli anni la crisi non era ancora conclamata, andai a Milano a fare un corso di editoria e tecniche editoriali e feci uno stage con Marcos y Marcos, con cui partecipai al Salone del libro di Torino. In quell’occasione ho conosciuto i librai che hanno aperto Modusvivendi. Preciso che non sono il titolare della libreria, ma il responsabile delle vendite; cominciai a lavorarci in agosto in attesa di trovare altro, ma poi sono rimasto fino ad oggi, 17 anni anni in libreria, dove ho scoperto la mia vocazione.
Quali dritte sentiresti di dare a un aspirante libraio?
Cambiare idea, a bruciapelo − ride − scherzo, sicuramente darei due consigli: essere coraggioso e umile, sono due qualità che ti consentono di spuntarla. Aprire una libreria generalista e tradizionale non ha senso, adesso.
Se dovessi aprire una libreria a tema, quale sceglieresti?
Se dovessi scegliere un tema sceglierei per aprire una libreria sarebbe una per ragazzi, settore che in Italia soffre meno la crisi e poi si tratta dei futuri lettori; anche se quasi tutti sono nativi digitali non potranno mai tralasciare i libri, anche ai fini dell’apprendimento, come Roberto Casati spiega efficacemente nel libro Contro il colonialismo digitale, edito da Laterza. Come libreria stiamo lavorando molto al progetto “Modusvivendi va a scuola” iniziato l’anno scorso, con cui abbiamo portato nelle scuole superiori scrittori importanti al livello nazionale come Gianluca Nicoletti, Riccardo Iacona, Piero Dorfles e Stefano Benni. Quest’anno si comincerà con le scuola medie con Viviana Mazza, Annamaria Piccione, che pubblica per Einaudi e per Verba Volant; Vichi De Marchi che si occupa di scienze, Simona Bonariva, autrice di Mafia e graffiti.
Per una libreria proporrei anche il settore dei classici, perché escono troppi libri inutili, inquinanti, di scarsa qualità, quindi una libreria per i testi che restano credo possa avere una speranza in più. Penso che la qualità paghi sempre, sebbene non si possa allestire una libreria senza un occhio al mercato.
Secondo te qual è la causa per cui molte librerie chiudono? Diresti che a volte dipende dai librai?
Alcune librerie chiudono per non saper sfruttare il proprio potenziale, per la politica sbagliata che praticano; certe non sanno reagire, non sanno essere creative, non sanno fare la differenza nell’offerta. Per esempio in libreria proponiamo prodotti provenienti dall’India. La vendita al banco è ridimensionata, tra la concorrenza delle catene, quella dei supermercati, e altro, devi essere creativo e innovativo, altrimenti non ce la fai.
A tuo parere, perché in questo periodo si parla tanto di librerie indipendenti?
Se ne parla perché sono a rischio di estinzione. Tante librerie hanno chiuso, tante rischiano e quindi vanno sotto i riflettori. C’è qualche segnale di novità, qualche nuova apertura. Saluto con curiosità e con piacere la libreria Colapesce di Messina, faccio un in bocca al lupo a Filippo Nicosia. Mai come adesso le libreria indipendenti sono state sotto i riflettori perché ci si preoccupa del fatto che da qui a pochi anni non ci siano più; si cerca di dare più risalto alla loro diversità. Molte cause per questa crisi vanno ricercate nelle scuole, nelle famiglie, nel mercato che è cambiato, cui bisogna adattarsi.
Com’è cambiato il tuo mestiere negli ultimi anni?
Radicalmente, bisogna cercare e stimolare i clienti, aprirsi alla città, al territorio, alle scuole, uscire fuori: non si può più stare ad aspettare che i clienti arrivino in libreria.
L’attività sui social network in che modo ha cambiato il tuo mestiere?
Senza i social non ci sarebbe nemmeno questa nostra intervista, perché era impensabile che l’attività di una libreria come la nostra sarebbe stata conosciuta su scala nazionale. I social permettono un respiro nazionale, abbiamo molti follower, anche se l’incidenza in libreria nonostante questo è ridotta. I social sono importanti perché consentono di condividere foto, eventi, idee, o un libro che si vuol far conoscere. Ci sarà un seminario della scuola librai delle Messaggerie a Venezia e uno dei temi delle lezioni sarà proprio questo, la promozione social di una libreria e sono molto curioso di partecipare.
Quale libro, tra quelli che hai consigliato più spesso, ti ha poi dato più soddisfazioni?
Diversi, posso citare Ho paura torero di Pedro Lemebel, edito da Marcos y Marcos, che negli anni ha ottenuto un successo di passaparola. Quando consigli un libro che piace si crea un circolo virtuoso: la gente torna in libreria per regalarne copie agli amici. Così abbiamo scoperto un libro della Giuntina, I Middlestein di Jami Attenberg, autrice americana che ha saputo del nostro exploit di vendite col suo romanzo ed è venuta a trovarci per presentare il libro a Palermo, dopo la tappa a Roma. Anni fa avevamo scoperto un autore che aveva appena esordito con Fernandel, Paolo Nori, di cui vendemmo centinaia di copie del libro Le cose non sono le cose, così tante che si sorpresero sia l’autore che la casa editrice. Bisogna innamorarsi dei libri per trasmettere passione, questo è l’obiettivo del libraio, specie con libri che non sono proprio noti, è bello anche fare delle scoperte. Bisogna misurare un libro sui gusti del lettore, un buon testo non può andare bene per tutti, anche un solo consiglio sbagliato può farti perdere clienti.
Consigliaci un racconto che ti è piaciuto in modo particolare.
Più che un racconto mi piacerebbe consigliare un libro che parla dell’arte di scrivere racconti: A pesca nelle pozze nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti, edito da minimum fax. Cita i grandi maestri americani del racconto, da Hemingway a Carver, facendoti innamorare del genere del racconto, che, ingiustamente, non gode della stessa popolarità del romanzo.
Intervista di Lorena Bruno
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